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Recensione – Black Magik Saints: l’oscurità ha un nuovo nome

Dalle profondità plumbee di Liverpool arriva il suono inquieto e viscerale dei Black Magik Saints, band britannica che trasforma disperazione, nichilismo e ricerca esoterica in una miscela ipnotica e tellurica. In attesa del loro debutto discografico ufficiale con l’album Santa Muerte, previsto per l’autunno in uscita indipendente, il quartetto si prepara a incendiare i palchi dal prossimo novembre con una proposta che affonda le radici nel doom, nello sludge e in un rock psichedelico dalle tinte occulte.

La formazione – composta da Frankie (voce e chitarre), Dan (basso), Peter (tastiere, synth e cori) e Philip (batteria e percussioni) – costruisce brani come se fossero rituali oscuri: chitarre fangose si intrecciano a melodie celestiali, linee di basso ipnotiche si fondono con un cantato disperato e viscerale, mentre una sezione ritmica ossessiva sembra battere come un cuore intrappolato in una stanza senza ossigeno.

I testi non cercano consolazione, ma scavano nel tormento, tra errori irrimediabili, illusioni infrante e la costante sensazione di essere smarriti in un mondo privo di senso. La loro musica è una lotta: contro il vuoto, contro la perdita di significato, ma anche un abbraccio doloroso al paradosso dell’esistenza. L’occulto, in questo caso, non è tanto una posa estetica quanto un tentativo disperato di trovare un ordine nel caos.

Se cercate musica che non ha paura di guardare l’abisso e cantare con voce ferita ciò che la società tende a silenziare, tenete d’occhio i Black Magik Saints. Santa Muerte promette di essere un viaggio sonoro denso, oscuro e sincero – una discesa negli inferi dove l’unica luce è quella che si accende nella coscienza di chi ascolta.

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